lunedì 28 maggio 2018

Fermentazione selvaggia del cibo

Sandor Ellix Katz è un attivista statunitense che un giorno ha mollato New York, dove viveva, e si è trasferito in una comunità agricola del Tennessee. La scelta di vivere in una maniera alternativa a quella proposta dai canonici modelli sociali l’ha spinto a riflettere su diversi aspetti del nostro vivere quotidiano, in particolare sulla relazione non sempre corretta che abbiamo con il cibo. Ci nutriamo sempre degli stessi alimenti, spesso preconfezionati e con una carica vitale pari a zero.

Questo cattivo comportamento alimentare provoca alla lunga un grave impoverimento del microbiota intestinale e allora via libera a intolleranze, problemi digestivi e persino disagi psicologici. Lo stesso Sandor era caduto in questo ingranaggio fino a quando non si è trovato difronte a un piccolo vaso di sauerkraut (i crauti fermentati molto usati nella cucina di tutta Europa), li ha assaggiati ed è stato subito amore. Da quell’istante è diventato un fermentatore-dipendente e un fermo divulgatore di questa tecnica. Gli obiettivi prefissati sono alti: mantenere viva una cultura alimentare purtroppo in declino, educare a variare quanto più possibile la dieta, consumando alimenti benefici per la salute e, infine, far comprendere a tutti che siamo esseri viventi molto simili al cavolo che vive ben piantato sulla terra completamente in simbiosi con i suoi batteri. Il piccolo vaso con i crauti fermentati è diventato il simbolo della sua rivoluzione, che che continua a crescere a livello mondiale.
 
Approfittando di una sua visita in Italia, grazie a un workshop organizzato dall’associazione kefir, Sapori l'ha intervistato.
 
Sandor, cos’è la fermentazione?
"Pane, caffè, tè, formaggio, salumi, cioccolata, vino, yogurt: sono esempi dei tanti cibi fermentati che consumiamo abitualmente a tavola. Tutti questi alimenti sono stati in qualche modo modificati dall’azione trasformatrice dei microrganismi. Alcuni sono ancora vitali quando li mangiamo, cioè possiedono fermenti e lieviti attivi. Molti prodotti che acquistiamo sono popolati da comunità di batteri e di lieviti. Prendiamo la foglia di un cavolfiore, uno di quelli che si compra al mercato. Osservandola attraverso un microscopio potremmo vederci vivere e prosperare tanti tipi di microrganismi: quelli specializzati nel far marcire la nostra foglia, quelli che la possono trasformare in cibo commestibile e anche quelli patogeni, cioè pericolosi per la salute. La pratica della fermentazione favorisce le condizioni ambientali ideali alla crescita dei soli batteri buoni, quelli che trasformano il cavolo in un cibo buono e salutare da mangiare".

Il cavolfiore è naturalmente pieno di batteri buoni

Perché è importante far entrare questa tecnica nella nostra vita quotidiana?
"Ci sono diversi aspetti da considerare. Per prima cosa il gusto. Nei cibi fermentati troviamo i più buoni e gustosi profumi e sapori di sempre, basta entrare in un negozio che vende prelibatezze per farci avvolgere da profumi inebrianti. Un altro aspetto è la conservazione. È qualcosa che sfugge perché siamo abituati al frigorifero e al freezer ma sino a 200 anni fa produrre cibi fermentati era il metodo più diffuso per conservare alcuni alimenti. Il formaggio è la strategia per conservare a lungo il latte, i salumi per avere carne sempre a disposizione, i sauerkraut, per avere le verdure e i sidri e i vini per la frutta. Un cibo fermentato apporta inoltre molteplici benefici: dalla predigestione, in quanto i microrganismi semplificano alcune sostanze presenti nel cibo rendendolo più digeribile (le proteine dei fagioli e dei legumi in genere); la detossicazione, l’azione dei batteri rende innocue sostanze molto tossiche (come l’acido cianidrico, un veleno presente nella cassava, una radice alla base della dieta di molte popolazioni), o fanno sparire del tutto sostanze difficili da digerire osgradevoli al palato; e la creazione di nutrienti, cioè una serie di vitamine, acidi organici e acidi grassi che ritroviamo nei cibi fermentati, per i batteri un sottoprodotto della fermentazione, per noi un grande valore aggiunto".

Il suo libro più noto è intitolato “Wild fermentation” (fermentazione selvaggia), cosa vuol dire?
"Nel libro ho parlato di fermentazioni selvagge, cioè ho insegnato come produrre alimenti fermentati con microrganismi già presenti sull’alimento stesso. Questi batteri e lieviti hanno una forza vitale non addomesticata, al contrario dei cibi che provengono dalla produzione industriale, sterili o con pochi e controllati batteri. Consumare questi cibi è un modo per ristabilire il giusto equilibro di selvatichezza che il nostro corpo deve possedere per stare in salute: è più pronto a trarre il meglio dal cibo che introduciamo, è più reattivo nel combattere le malattie, è quindi più sano. Il corpo è come un ecosistema che funziona meglio se popolato da specie diverse di microrganismi, lo dicono ormai tantissimi medici. Studi recenti di microbiologia hanno dimostrato che sono almeno 3 miliardi i batteri che vivono dentro e su di noi per un peso superiore ai 2 kg. I batteri rendono vivibile la nostra vita, anzi sono la matrice stessa della materia vivente".

Verdure in barattolo pronte per la fermentazione

Abbiamo capito l’importanza di mangiare cibi fermentati “vivi” ma farli in casa non comporta qualche rischio?
"Tante persone affrontano la fermentazione con timore. Siamo stati indottrinati dall’idea che tutti i batteri sono da combattere, eppure in tutto il mondo la fermentazione è una tecnica diffusa. Se stringiamo il campo alle sole verdure fermentate, non sono mai stati segnalati episodi d’intossicazione o di avvelenamento. La ragione sta nel modo di agire di questi batteri che generando acido lattico o acetico, rendono inospitale l’ambiente agli altri microrganismi concorrenti e spesso nocivi (come l’Escherichia coli, la Salmonella, il Botulino)".

Una ricetta su come produrre a casa cibo fermentato?
"La tecnica per produrre i sauerkraut, la mia passione, è molto facile ed è utile a far fermentare qualsiasi tipo di verdura. Per prima cosa procuratevi un vaso di vetro da 1 litro con chiusura a vite o ermetica. Poi tagliate i crauti, metteteli in una ciotola e aggiungete del sale (il 2% sul loro peso ma consiglio sempre di aggiungerne meno e poi di assaggiare ed eventualmente salare ancora). Iniziate a mescolare con le mani così da rompere le fibre e far fuoriuscire il liquido di vegetazione. Dopo un po’ le verdure avranno un aspetto vizzo e strizzandole uscirà del liquido salato: la salamoia. Se non avete usato i crauti, sarà piuttosto esigua, allora versate dell’acqua bollita e portata a temperatura ambiente per ottenere la giusta quantità (circa 3 dl). A piacere potete aggiungere spezie o aromi: aglio, pepe, cannella, semi di cumino, fieno greco, ecc. A questo punto inserite tutte le verdure nel vaso di vetro, premendo bene e avendo cura di lasciare un po’ di spazio tra il bordo del vaso e le verdure. Versate sopra la salamoia raccoltasi sul fondo della ciotola fino a coprire il tutto e tappate. Per tenere le verdure compresse potete usare un pressino da conserve o delle pietre passate in acqua al bollore. Adesso non resta che aspettare.

Per far uscire il liquido necessario, bisogna rompere a mano le fibre delle verdure

Durante i primi giorni la fermentazione sarà vivace, nel vaso si produrrà molto gas (anidride carbonica) e bisognerà farlo uscire aprendo e chiudendo rapidamente il coperchio. Mi raccomando fatelo su un lavandino perché assieme al gas uscirà anche parte della salamoia. Quando saranno pronti? Non esiste un termine preciso. Le verdure si possono consumare dopo pochi giorni o dopo mesi. Dipende dal gusto personale. Diciamo che il pieno del sapore e dei principi nutritivi si ha dopo circa 2 o 3 settimane (dipende dalla temperatura, più fa caldo e prima le verdure matureranno) ma il gusto s’intensifica con il tempo, con l’aumentare degli acidi organici che danno il sapore. Adesso che sapete come fare, vi invito caldamente a provare, sarete sorpresi della bontà delle verdure fermentate preparate. Non potrete più farne a meno e anche voi come me diverrete parte della rinascita della fermentazione".

sabato 26 maggio 2018

Yoga Pizza

L’antiyoga
Molti sono dli atteggiamenti, le abitudini, gli stili di vita che collidono con la pratica dello yoga. Arroganza, saccenza, egoismo si frappongono ad un atteggiamento di attenzione disponibile che permette al praticante di progredire. Il fumo, l’alcool, l’eccesso di cibo, l’uso oltre la modica quantità di dolci  tendono ad ottundere la volontà. Il bisogno compulsivo di novità e cambiamento mal si combina con la paziente ripetitività dello yoga. Non parliamo poi delle droghe, leggere o pesanti, che nell’hippismo anni 60 venivano, nel comune sentire, affiancate allo yoga, che sono ostacoli sulla strade del vero sentire e dell’azione corretta. C’è un uso presente anche nell’ambiente dello yoga: gli psicofarmaci. Nelle società avanzate, 1 persona si 4 ne fa uso.  Quest’abitudine è favorita da questa società: contengono il male di vivere, permettono di spegnere i segnali di disagio che il profondo cerca di comunicarci. Difficoltà ad addormentarci? Pariglia. Ansia, paure? Gocce. Ci spaventa ciò che succede intorno a noi? + pastiglie e gocce. Eppure lo yoga ci insena che quando non dormiamo è il momento giusto x meditare. Che se ci sentiamo depressi la cosa migliore è lavorare sul corpo; che se ci sentiamo ansiosi dobbiamo concentraci sul respiro. Tutto perde di significato nello spegnimento artificiale della mente causato dagli psicofarmaci.

sabato 12 maggio 2018

BOOM DELLA PIZZA - ANDAMENTO DI UN FENOMENO


Il boom delle pizzerie analizzato con i criteri del marketing

Sembra una crescita inarrestabile quella delle pizzerie e dei pizzaioli, un mercato dove c'è ancora spazio per chi vuole cimentarsi con l'arte bianca. Ma è davvero così?

Assistiamo da qualche tempo, e in maniera piuttosto frequente, ad annunci di aperture di pizzerie, così come ne vediamo aprire sotto i nostri occhi nelle maggiori città. Il centro di questo fenomeno è, per numeri, il capoluogo meneghino, anche se qualcosa sembra muoversi anche nella meno reattiva Roma, volendo restringere il focus sulle due città più importanti. Anche a Napoli e provincia, così come a Caserta, ci sono state tante novità da registrare, ma si è trattato principalmente di ampliamenti (anche importanti e decisamente in belle strutture) di pizzerie e nomi già esistenti sul territorio. Se l’attenzione dei media del settore è attirata soprattutto dal successo di singoli artigiani accreditati come Gino Sorbillo e marchi noti come “Da Michele”, la realtà è fatta di tante insegne meno blasonate. Un panorama più instabile di quello che appare sulle copertine più o meno patinate che oggi vogliamo analizzare usando gli strumenti del marketing.

Il ciclo di vita di un Fenomeno

Affrontiamo il fenomeno analiticamente. Prima di tutto, quale è il ciclo di vita classico di un fenomeno? Nel Marketing è cosa nota e si riassume nel grafico successivo:

 

Nella prima fase temporale, abbiamo la Novità. È il momento in cui chi ha portato Innovazionecomincia a crescere e a farsi notare, è il momento delle cosiddette “tigri” che generano il Fenomeno. Nella seconda fase, quella della Crescita, c’è il primo consolidarsi del Fenomeno sull’onda del primo riscontro del Mercato. Agiscono ancora prevalentemente le tigri, però iniziano già ad esserci i primi Emulatori, i cosiddetti “Followers”. Nella terza fase il Fenomeno incontra la sua Prima Maturità, caratterizzata ancora da una relativa ma minore crescita e un aumento degli Emulatori. Subito dopo, troviamo la prima inversione di tendenza in termini di Valore % del Mercato: è la fase della Maturità Consolidata, in cui aumenta il numero di Emulatori mentre le tigri agiscono sempre meno nel campo specifico o diversificano.

Nelle due fasi di Maturità, si rilevano i fenomeni generati dal numero di Emulatori entrati nel settore cioè quelli che, non portando nessuna innovazione di rilievo, concorrono solo alla saturazione della Domanda di Mercato e, parallelamente, a una diminuzione dei margini e della Qualità Complessiva in quanto spostano la concorrenza sul piano dei prezzi. Ecco quindi il principale motivo dell’inversione di tendenza, non considerando il fatto che la Domanda possa andare incontro di suo a una flessione per motivi non di origine economica. Nel Declino, più o meno rapidamente c’è la riduzione del Fenomeno come entità, ed è la fase in cui iniziano a chiudere le attività a partire dagli Emulatori. Nell’Assestamento Finale, sesta e ultima fase, la maggioranza degli Emulatori è andata incontro a una fine più o meno prematura e a questo punto, generalmente, il mercato avrà un valore complessivo più alto rispetto all’inizio del Fenomeno ma i principali attori rimarranno ancora gli Innovatori e chi, nelle restanti fasi, si sarà distinto portando ulteriori innovazioni o anche solo una forte percezione di Qualità nel Cliente finale.

Ma la ristorazione in Italia, come va?

Con quanto detto fin qui bene in mente, torniamo quindi ad analizzare il mercato della pizza. Partendo dalle considerazioni di uno studio redatto dalla GP.Studios e con il supporto dei dati della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) più quelli di Infocamere, possiamo imbastire alcune interessanti riflessioni.

A livello di Mercato, in termini di spesa delle famiglie per frequentare qualsiasi Attività di Ristorazione, i dati riportano una modestissima crescita media - prendendo come anno di riferimento il 2010 - che non supera lo 0,6% annuo complessivo.

 

Possiamo però notare che dal 2013 c’è stato un aumento della Domanda riportata intorno all’8%. Fino al terzo trimestre 2017 il trend si è sostanzialmente confermato, con però dei primi “cedimenti” a partire dal numero degli occupati del settore. In particolare, tra il secondo e terzo trimestre 2017 si è riportato un calo superiore al 7%. Il calo degli occupati è un sintomo chiave di una prossima discesa dei ricavi, come si può facilmente intuire.

Ancora più indicativo è il saldo tra le aperture e le chiusure delle attività di Ristorazione, un dato che sembra per certi versi inaspettato ma, come tutti i numeri, purtroppo descrive la verità nuda e cruda. Sul dato aggregato di tutte le tipologie di attività di ristorazione, poi, nel 2017 il dato continua ad essere fortemente negativo. Infatti, nei primi nove mesi hanno avviato l’attività 10.835 imprese mentre 19.235 l’hanno cessata determinando un saldo negativo pari a 8.400 unità. (Fonte dati: FIPE – “Ristorazione – Rapporto Annuale 2017”). Un numero che fa riflettere molto, e che possiamo legare ai cosiddetti Emulatori di cui abbiamo parlato in precedenza, nei quali l’improvvisazione nel lavoro specifico è oggi molto elevata, è quello della Vita Media delle Nuove Aperture: due anni. Ancora di più: secondo GP.Studios su elaborazione dati FIPE, come abbiamo visto negli ultimi 5 anni in Italia è cresciuto il numero di aperture di bar e ristoranti (+10%), 31.000 in più come in valore assoluto (e questo si avverte maggiormente nelle grandi città, soprattutto Roma, Milano e Napoli) ma la maggior parte non sopravvive più di 5 anni e, comunque, al netto delle chiusure dello stesso periodo, il saldo tra Aperture e Chiusure rimane complessivamente negativo con cifre in linea con quanto abbiamo appena visto.

I dati di una crisi e il boom apparente

I numeri, quindi, continuano a riportare uno stato di crisi perdurante che ha avuto solo un piccolo cenno di ripresa dal 2013 circa in poi ma che già a metà del 2017 mostra una flessione decisa. Questo è quindi il substrato su cui il fenomeno pizzerie poggia e si fonda. Cosa dicono, quindi, questi elementi? Andando per fatti, ci sembra di poter dire che l’esplosione pizza non abbia in realtà creato un nuovo mercato con nuovi clienti. In altre parole, non ha convinto più gente a uscire da casa, quindi questi clienti sono in realtà uno spostamento di interesse di chi già andava a mangiare fuori più o meno frequentemente e che, questa massa, è stata perlopiù sottratta a ristoranti e trattorie, le quali non propongono o non hanno proposto complessivamente nulla di innovativo o di attraente da anni a questa parte. Tutto questo, in un settore palesemente in crisi nei numeri da almeno dieci anni.

Arrivando alle conclusioni, pensiamo si possa riportare tutto al grafico dell’Andamento di un Fenomeno inizialmente mostrato: ci sono stati degli Innovatori, con Novità legate al prodotto, formule di espansione commerciale o immagine personale. Nella Crescita si sono registrate le prime aperture di emulazione con il Mercato che aveva ancora una Domanda superiore all’Offerta come da manuale ma, con le nuove aperture, si è arrivati alla Prima Maturità in cui il Mercato inizia a fare le prime selezioni dei Competitori. A questo punto, per quello che sembra da questa analisi forse siamo nella prima fase della Maturità Consolidata, con ormai una Domanda che si sta saturando a causa dei Followers (“Tutti vogliono aprire una pizzeria” sembra essere quasi la parola d’ordine dell’ambiente), mentre l’Offerta propone sempre meno spunti di novità. Questo fa presagire che più o meno a breve ci saranno le prime crisi delle pizzerie e, di seguito, le prime chiusure dei meno capaci. Quando avverrà? Ci auguriamo il più tardi possibile ma, purtroppo, con le leggi del Marketing non si scherza e con i numeri reali ancora meno.